{"id":16710,"date":"2021-02-01T11:49:01","date_gmt":"2021-02-01T10:49:01","guid":{"rendered":"https:\/\/www.giberto.it\/il-sole-24-ore\/"},"modified":"2021-02-01T11:50:40","modified_gmt":"2021-02-01T10:50:40","slug":"il-sole-24-ore","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.giberto.it\/it\/il-sole-24-ore\/","title":{"rendered":"Paolina Calcata e Moltiplicata – IL SOLE 24 ORE"},"content":{"rendered":"

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Paolina Calcata e Moltiplicata\u00a0<\/strong><\/p>\n

di\u00a0Fulvio Irace<\/p>\n

11 settembre 2016[\/vc_column_text][vc_separator][vc_column_text]\"\"[\/vc_column_text][vc_separator][vc_column_text]Si fa presto a dire copia! Un termine su cui oggi pesa l\u2019incubo della contraffazione ma che per molti secoli – quando l\u2019originalit\u00e0 non costituiva un valore primario e la propriet\u00e0 intellettuale di un\u2019opera non era legata alle pastoie giuridiche del nostro\u00a0copyright\u00a0– \u00e8 stato il principale mezzo di divulgazione di modelli cui si riconosceva valore universale. Riprodurre era, infatti, un sistema (lecito e anche meritorio) per moltiplicare l\u2019effetto del prototipo di partenza, variandone magari la scala e i materiali ma mantenendone l\u2019iconografia, sulla scia di una visione condivisa che recentemente Salvatore Settis ha definito \u00abclassico seriale\u00bb.<\/p>\n

Noi pensiamo anche ai musei come tribunali che sanciscono l\u2019autenticit\u00e0 dell\u2019opera con il bollino d\u2019onore dell\u2019istituzione, e siamo pronti a disporci in fiduciosa adorazione davanti ogni manufatto certificato\u00a0dop\u00a0dal cartellino apposto dai curatori.<\/p>\n

Eppure c\u2019\u00e8 stato un tempo in cui musei di tutto il mondo esponevano in bella vista – e anzi con orgoglio scientifico – repliche pi\u00f9 o meno perfette di capolavori, di opere canoniche o pi\u00f9 spesso di dettagli decorativi e architettonici. Le due colossali Sale dei Calchi del Victoria & Albert Museum, inaugurate nel 1873, ospitano ancor oggi la raccolta delle riproduzioni in gesso scala 1: 1 delle pi\u00f9 importanti sculture e architetture – dal David di Michelangelo al portale della Basilica di San Petronio o alla Colonna Traiana – con le quali si intendeva promuovere l\u2019educazione del grande pubblico all\u2019arte e l\u2019affinamento del gusto degli artisti ed artigiani inglesi.<\/p>\n

Sir Henry Cole (fondatore del Victoria and Albert Museum) riteneva la copia strumento di conoscenza, utile allo studio e all\u2019apprendimento diretto soprattutto per chi non poteva permettersi viaggi lunghi e costosi e nel 1867 stil\u00f2 addirittura una\u00a0Convenzione per promuovere universalmente la riproduzione di opere d\u2019arte, dando origine a un movimento che invest\u00ec quasi tutti i grandi musei d\u2019Europa. Fu solo con il XX secolo che la produzione di copie inizi\u00f2 a diminuire perch\u00e9 associata a valori negativi, dalla contraffazione alla volgarit\u00e0 o addirittura al\u00a0kitsch. La copia \u00e8 diventata cos\u00ec sinonimo di falso e la contrapposizione tra originale e riproduzione una sorta di categoria morale o di spartiacque tra autentico e contraffatto. Ma questa diga sta diventando sempre di pi\u00f9 oggi una labile e flessibile frontiera: non tanto (o non solo) perch\u00e9 le tecniche di scansione digitale e di costruzione tridimensionale di repliche ad alta definizione hanno raggiunto vertici inimmaginabili, ma perch\u00e9 la difesa del patrimonio culturale e la sua preservazione ha cambiato gli scenari culturali costringendoci di volta in volta al rischio di scelte tanto difficili quanto inedite in un mondo in cui l\u2019opera d\u2019arte , sottratta al suo statuto di neutralit\u00e0 universale , ridiventa simbolo di un\u2019ideologia politica o di una fede religiosa.<\/p>\n

\u00c8 il tema che coraggiosamente \u00e8 presentato alla Biennale di Venezia dalla mostra\u00a0A world of fragile parts\u00a0che ha al centro il tema della riproduzione come un atto di responsabilit\u00e0 creativa: non solo davanti alla riparazione di scempi come la distruzione dei Buddha di Bamyan o dell\u2019Arco di Palmira (di cui si espone un segmento ricostruito dall\u2019Istituto per l\u2019Archeologia Digitale) o a fronte della preservazione del patrimonio minacciato da catastrofi naturali, dall\u2019urbanizzazione, dall\u2019abbandono o dal consumo del turismo di massa.<\/p>\n

Ma esplorando i territori inediti verso i quali ci muove l\u2019opportunit\u00e0 delle nuove tecnologie digitali, come testimoniato , all\u2019ingresso della mostra veneziana, dalla replica ,digitalizzata in scala reale , di uno dei rifugi del campo profughi di Calais prodotta da Sam Jacob Studio come\u00a0memento\u00a0artistico e morale a una societ\u00e0 che ha dimenticato il senso della solidariet\u00e0 e il rispetto dei diritti dell\u2019uomo. La frugale capanna di plastica e legno ha qui le dimensioni eroiche di un blocco scultoreo, che trasforma la fragilit\u00e0 e la precariet\u00e0 in un monumento severo alla precariet\u00e0 dell\u2019esistenza. Si tratta di una copia: ma il suo essere fedelmente replicato nella durezza della pietra sintetica ha un valore aggiunto che apre un campo di sperimentazione di grande potenzialit\u00e0 artistica ed espressiva.<\/p>\n

Se appare discutibile il senso della riproduzione in vetro di Gilberto Arrivabene con Factum Artedel capolavoro di Canova – la controversa statua nuda di Paolina Bonaparte -, l\u2019idea di David Gissen (Some small leaks in big places) di copiare i vuoti di spazi architettonici catturandone le impressioni acustiche a partire dal suono delle gocce d\u2019acqua, ha la magia di evocare il ciclo dell\u2019architettura come artefatto soggetto alle leggi del decadimento e la imprevedibile natura auditiva di uno spazio.<\/p>\n

Provocatoriamente politico, invece, il lavoro degli artisti Nora Al-Badri e Jan Nikolai Nelles che hanno digitalizzato in maniera piratesca il busto di Nefertiti esposto al Neues Museum di Berlino, che la Germania si \u00e8 sempre rifiutata di restituire al suo legittimo proprietario, l\u2019Egitto. Un \u00abfurto etico\u00bb, come dice il curatore Brendan Cormier, realizzato grazie a un controller Kinect ed esposto in modello 3D con il titolo di\u00a0#NefertitiHack.<\/p>\n

Le repliche, dunque, come scrive il direttore del V&A Martin Roth \u00absono un fenomeno dei nostri tempi, che stanno rapidamente trasformando gli atteggiamenti diffusi verso l\u2019autenticit\u00e0. Rispetto alla conservazione tradizionale, \u00e8 evidente il valore aggiunto alla cultura di poter creare, memorizzare e proteggere repliche accurate di oggetti che un giorno potrebbero non esistere pi\u00f9 o diventare inaccessibili\u00bb.<\/p>\n

Lanciata nel 2014,\u00a0Scan the World\u00a0\u00e8 un po\u2019 il simbolo di questa controversa ma eccitante condizione di possibilit\u00e0: una comunit\u00e0 globale archivia in forma digitale artefatti culturali di tutto il mondo, come nel medioevo gli amanuensi trascrivevano classici greci e latini per scongiurarne la perdita e la distruzione. Cos\u00ec la digitalizzazione sembra dare un fondamento operativo al famoso paradosso di Borges,\u00a0La Mappa dell\u2019Impero, cio\u00e8 il sogno della duplicazione cartografica del mondo in scala 1:1. Ma anche alle sue aporie, ovviamente, che Umberto Eco riassunse cos\u00ec: \u00abogni mappa uno a uno dell\u2019impero sancisce la fine dell\u2019impero in quanto tale e quindi \u00e8 mappa di un territorio che non \u00e8 un impero\u00bb.<\/p>\n

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